Com’è la situazione? Be’, stiamo come stiamo e per riempirci gli occhi e il cuore dobbiamo intingere tasti e mouse in un’altra straordinaria ennesima avventura del Divino Roger.
Sia maledetto fin da ora il giorno che ce lo porterà via dai courts, quando, da lì in avanti, saremo costretti ad elemosinare, ad implorare che qualcuno ci regali un attimo di grande tennis appaiabile al suo.
Via lui – speriamo il più tardi possibile – chi mai saprà farci rivivere quell’attimo di pura magia che è stato, e qui mi mancano aggettivi acconci, quel passante di diritto tirato, indietreggiando, quasi di mezzo volo che ha di fatto annichilito le residue resistenze di Cilic, che fino a lì aveva retto, raccontandoci tutta un’altra storia rispetto alla finale di Wimbledon vissuta sei mesi addietro?
Nel veder reiterato l’incanto ben oltre il verosimile, anche uno come Foster Wallace o uno come Galeano potrebbe patire lo spaesamento dovuto all’impossibilità di trovare parole bastevoli per narrare la sovrannaturale epica di Federer. Hai un bel dire che è impossibile stabilire se lui sia il più forte di sempre, ma vedendolo giocare il dubbio che “ come lui nessuno mai e come lui nessuno mai più” non può non prenderti.
Non so se Rotterdam gli restituirà il titolo di n°1, ma sarebbe solo una mancia ulteriore. Ciò che Roger ha lasciato e lascia scolpite nelle nostre rétine e memorie ha a che fare con l’incanto e la poesia, oltre numeri e aride classifiche. Ogni suo match, ogni suo colpo è sinfonia: nessuno sa far risuonare gli armonici del tennis come lui.
Gli altri, tutti gli altri, giocano, lui tesse arte con la perfezione di Fidia. Anche il tempo pare arrendersi, avere rispetto di tanta meraviglia, concedendo deroghe, infischiandosi di presunte leggi di natura: Federer è un’altra cosa. Come fai, se no, a spiegare ai più uno che addomestica geometrie e fisica a suo piacimento, viaggiando in uno spazio temporale diverso, riuscendo ad inventare in campo qualcosa che semplicemente non esiste?
Roger Federer è riuscito nell’irresistibile impresa di rendere persino umano e simpatico qualcosa di svizzero. Quelle lacrime a ventesimo titolo dello Slam incamerato ce l’hanno restituito meno omerico, meno alieno, anche se permane il dubbio che di questo pianeta non possa essere figlio: troppo imperfetto, troppo scarico di bellezza.
Da sempre, sotto sotto, e per tanti motivi, invidiamo gli Svizzeri, che saranno pure grigi e abbastanza privi di fantasia, ma siccome hanno già la fortuna di vivere in un Paese dove tutto funziona e dove 2+2 non fa mai 22 come succede da noi, c’è da chiedersi perché abbiano pure avuto il deretano di veder nascere da loro, senza merito apparente, una mirabilia simile.
La cicogna non poteva sbagliarsi d’un par di centinaia di chilometri e portarlo da noi?
Magari però il pennuto e il fato ci hanno visto giusto, perché forse saremmo riusciti incredibilmente a buttare alle ortiche anche un diamante del genere.
E lo so, che sono il solito esterofilo disfattista, ma è che nutro zero fiducia nelle dinamiche italiche e, di conseguenza, nel nostro futuro: stiamo come stiamo e non è una bella ma tribolata vittoria in Davis a rallegrarmi, neppure il successo della ritrovata Sarita Errani e della nascente Deborah Chiesa in Fedcup a sollevarmi. I problemi sono altri, molto più grandi, e per par condicio mica li posso dire.
Elis Calegari